INDICE
(fare
clic sul titolo dell'articolo ricercato)
8A. DALL’ OUTPLACEMENT
ALLA CONSULENZA DI TRANSIZIONE DI CARRIERA
8B. L'ATTIVITA' DI CAREER
COUNSELING
8C. LE " 4 P " PER
LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE
8D.
LE RETRIBUZIONI AZIENDALI: EQUITA' E COMPETITIVITA'
8E.
LA VALUTAZIONE E LA VALORIZZAZIONE DEL CAPITALE UMANO
articolo pubblicato da "Diritto delle Relazioni Industriali"
rivista dell'Associazione Lavoro e Ricerche ALAR nel n° 1/1999
Giuffrè Editore
dott. Andrea Ferramola Consulente
del Lavoro
DALL’ OUTPLACEMENT
ALLA CONSULENZA DI TRANSIZIONE DI CARRIERA
1. Premessa 2. Le
caratteristiche fondamentali dell’outplacement 3. Il contratto di outplacement
4. I contenuti del servizio di outplacement 5. I benefici dell’ outplacement 6. L’outplacement e
il lavoro autonomo
1.
Premessa
La diffusione in Italia
dell’utilizzo del servizio di outplacement ha accompagnato quel processo
di trasformazione economica, sociale e normativa che ha dato all’espressione "mercato
del lavoro" un significato effettivo molto più vicino a quello
letterale.
Infatti oggi siamo in
presenza della possibilità di un effettivo libero confronto e incontro tra
domanda e offerta di competenze e di prestazioni professionali e questa
possibilità diventerà sempre più realtà anche a condizione che si affermi una
"imprenditorializzazione" dell’offerta.
Il servizio di outplacement
ha contribuito a creare in una fascia piccola ma importantissima dei
prestatori di lavoro questa "imprenditorializzazione",
e pertanto può venire esaminato in una prospettiva ben più ampia di quella
propria di un servizio "di nicchia" nel panorama della consulenza per
la gestione delle risorse umane.
Questo scritto si prefigge di
motivare questa affermazione.
2.
Le caratteristiche fondamentali dell’outplacement
Il servizio di outplacement
è un servizio di consulenza per la ricerca di una nuova occupazione, che un
datore di lavoro mette a disposizione di propri dipendenti nei confronti dei
quali ha deciso di interrompere il rapporto.
Questa decisione è di norma
una manifestazione del potere di indirizzo del datore di lavoro: è cioè la
conseguenza di scelte di ristrutturazione e riorganizzazione che determinano
l’esubero o l’obsolescenza (relativa) di uno o più dipendenti.
Il servizio di outplacement
viene effettivamente attivato solo a seguito di un accordo (individuale o
collettivo) che esclude (o magari conclude) il contenzioso tra il datore e il
dipendente e stabilisce il termine e le condizioni di cessazione del rapporto
di lavoro.
Quindi il servizio di outplacement
è un ammortizzatore privato della perdita dell’occupazione, e in pratica
consiste nell’affiancamento al dipendente di un consulente specializzato che lo
assiste nella ricerca di nuove opportunità di occupazione, sia attraverso un
programma di formazione individuale idoneo a valorizzare le qualità
professionali e umane, sia attraverso adeguati strumenti di logistica.
Il servizio di outplacement
è apparso in Italia alla metà degli anni ‘80, e si è veramente affermato
con il diffondersi del fenomeno della disoccupazione di lunga durata anche tra
le nuove "vittime" dei processi di ristrutturazione, cioè dirigenti e
quadri, figure professionali abituate a negoziare individualmente il proprio
rapporto con il datore di lavoro, ma anche abituate, in precedenza, a essere
cercate piuttosto che a cercare lavoro.
La diffusione del servizio in
Italia, che è stato utilizzato ormai da numerose migliaia di persone, in
maggioranza dirigenti, è peraltro ancora lontana da quella dei servizi
analogamente denominati (ma non necessariamente identici nei contenuti) in
altri paesi dell’Europa e del mondo.
3.
Il contratto di outplacement
L’attivazione e l’erogazione
del servizio di outplacement non sono regolate da specifica
legislazione: nella prevalente prassi si realizza un contratto a favore di
terzi, e i soggetti del triangolo sono: un datore di lavoro contraente,
un’impresa specializzata fornitrice del servizio, un dipendente beneficiario.
Non esistono limiti formali
all’ambito di utilizzabilità del servizio: il datore di lavoro non deve essere
necessariamente un imprenditore nè possedere
particolari caratteristiche dimensionali; al dipendente non sono richiesti
requisiti di categoria, età, anzianità; la valutazione dei requisiti
dell’impresa specializzata è rimessa unicamente ai meccanismi di mercato.
In Italia, infatti, chiunque
può proporsi per erogare servizi di outplacement, ma alcune imprese che
condividono e applicano uno specifico codice etico a tutela dei clienti datori
di lavoro e dei candidati fanno parte dell’A.I.S.O. (Associazione Italiana
Società di Outplacement), fondata nel 1988 e aderente a Confindustria.
In base al codice etico, tra
l’altro, le società dell’A.I.S.O. non svolgono attività di ricerca e selezione
del personale per conto di datori di lavoro, e inoltre non ricevono incarichi
di consulenza a spese dei dipendenti.
Quest’ultimo aspetto merita
una sottolineatura: infatti non si può parlare di outplacement se la
richiesta di un servizio di consulenza per la ricerca di una nuova occupazione
proviene direttamente da un dipendente; in questo caso il servizio erogato può
avere contenuti simili, ma la natura del contratto e del rapporto cambia
radicalmente, e si parla più opportunamente di servizio di job search oppure
di job hunting.
Stipulando il contratto, il
datore di lavoro contraente incarica l’impresa specializzata di prestare i suoi
servizi a favore del dipendente beneficiario, che nel lessico tipico è
normalmente definito "candidato" (e che di fatto diventa il vero, o
il principale cliente dell’impresa).
L’impresa specializzata può
venire scelta dal datore unilateralmente, oppure d’intesa con dipendente; in
ogni caso, però, il corrispettivo della prestazione dell’impresa è sostenuto
interamente dal datore di lavoro.
L’impresa di outplacement assume
l’obbligazione di prestare il proprio servizio fino a quando il candidato si
ricollocherà in una attività lavorativa, dipendente o indipendente; nella
prassi prevalente, pertanto, l’impegno dell’impresa non ha una durata
prestabilita e non è sottoposta a termine.
L’avvenuta ricollocazione del
candidato è attestata autonomamente dallo stesso, in una dichiarazione
rilasciata all’impresa di outplacement: cio è
coerente con la natura consulenziale del servizio, che non consiste nel ricerca di un’opportunità di lavoro a nome e per conto
del candidato, ma nello sviluppo delle sue autonome capacità di ricerca.
La stipulazione del contratto
di outplacement presuppone ovviamente il consenso da parte del
dipendente, che però non si manifesta attraverso l’intervento nella stipulazione
stessa: di norma, il datore di lavoro richiede separata dichiarazione di
accettazione in forma scritta (ad esempio all’interno dell’accordo di
risoluzione consensuale), e anche l’impresa di outplacement incontra il
possibile candidato prima della stipulazione, riservandosi di accettare
l’incarico solo dopo avere valutato la situazione professionale e la
motivazione individuale della persona.
Se non altro per le
considerazioni sopra esposte sulla natura del servizio, non è possibile che
l’impresa di outplacement assuma un incarico sottoposto a limitazioni,
richieste dal datore di lavoro contraente, relative all’ambito territoriale o
merceologico nel quale potrà ricollocarsi il candidato; è poi prassi
consolidata (anche a prescindere dai nuovi obblighi per la tutela della
riservatezza) che non venga fornita al datore alcuna informazione sui risultati
ottenuti dal candidato che non sia stata da questo autorizzata.
In molti casi la stipulazione
del contratto avviene su richiesta avanzata dal dipendente licenziato al datore
e non su autonoma iniziativa di quest’ultimo, ma come non vi è obbligo di
aderire ad una eventuale proposta del datore di lavoro di utilizzo del servizio
di outplacement, così non si può neppure asserire l’esistenza di un
generale diritto allo stesso in capo ai dipendenti.
Peraltro i contratti
collettivi di lavoro di alcune categorie di dirigenti contengono clausole che
impegnano l’azienda alla stipulazione di un contratto di outplacement a
favore del dirigente licenziato che ne faccia richiesta.
Queste clausole per lo più
stabiliscono dei limiti ai costi che le imprese sono tenute a sostenere.
Meritano una menzione a parte
gli accordi sindacali aziendali stipulati in occasione di ristrutturazioni e di
riduzioni del personale in grandi imprese industriali o di servizi, nei quali
viene esplicitamente prevista la realizzazione, a favore dei dipendenti
(impiegati e operai) collocati in mobilità o in cassa integrazione
straordinaria, di servizi collettivi che hanno assunto denominazioni svariate (outplacement
di gruppo, centri di continuità professionale, centri di mobilità, centri di
transizione) e che costituiscono un adattamento (a volte radicale) del
servizio individuale di outplacement alle loro caratteristiche
professionali.
4.
I contenuti del servizio di outplacement
E’ già stato evidenziato che le imprese
di outplacement non sono agenzie di collocamento: il loro servizio
consiste innanzitutto nel realizzare un programma di sostegno psicologico e di
preparazione professionale del candidato, e poi nel fornire supporto
metodologico e logistico alla sua attività di ricerca dell’occupazione.
L’interlocutore del candidato
è un consulente, di norma socio o collaboratore dell’impresa, con il quale si
incontra regolarmente e dal quale riceve anche i testi necessari alla
realizzazione del programma.
In particolare, il consulente
di outplacement assiste il candidato:
Il candidato viene
indirizzato ad esplorare tutti i possibili contatti e i percorsi che lo portano
a conoscere situazioni poco note che possono nascondere l’opportunità di una
nuova occupazione, e a questo fine viene affiancato dal consulente per
migliorare le capacità di comunicazione, scritta e verbale, e per allargare la
propria rete di relazioni.
Il consulente lo assiste
nell’analisi dei progressi e delle difficoltà della sua ricerca, e infine nella
valutazione delle offerte ricevute e nella scelta finale.
Normalmente ciascun candidato
è seguito dal medesimo consulente dall’inizio alla fine del programma, ma
questo non esclude che l’impresa di outplacement fornisca anche
consulenze integrative (ad esempio consulenze psicologiche e previdenziali).
Il programma di outplacement
è in pratica la realizzazione di un progetto di marketing individuale, che
il candidato può preparare e soprattutto gestire grazie all’assistenza
professionale ricevuta dal consulente e ai supporti logistici che gli vengono
messi a disposizione negli uffici dell’impresa di outplacement.
Questi supporti comprendono
di norma la possibilità di consultare numerose banche dati sia a stampa sia
informatiche (repertori economici, annuari di enti e associazioni, indirizzari,
guide specializzate, raccolte di riviste e quotidiani) e l’utilizzo di servizi
telefonici, postali e di segreteria, che sono indispensabili per stampare
lettere personalizzate di presentazione, instaurare contatti, rispondere ad
annunci di lavoro.
Normalmente, dopo l’avvio
della nuova attività lavorativa il candidato gode di un periodo di
"garanzia", durante il quale può riprendere, a sua semplice
richiesta, il programma di outplacement se il ricollocamento ha esito
negativo (ad esempio, per mancato superamento del periodo di prova) o se la
nuova occupazione si rivela insoddisfacente.
5.
I benefici dell’outplacement
Possiamo distinguere i
benefici rilevanti per il dipendente da quelli rilevanti per il datore di
lavoro che interrompe il rapporto.
A) Il dipendente che apprende
la decisione del datore di interrompere il rapporto e che quindi deve lasciare
l’azienda in tempi relativamente brevi e senza avere già un’altra idonea
offerta di lavoro, trova nel servizio di outplacement quello che gli
operatori del settore definiscono "un paracadute".
Questo paracadute gli offre
innanzitutto la certezza di non trovarsi solo (psicologicamente e
materialmente) nella ricerca di una nuova occupazione, e poi di poterla
affrontare con maggiore consapevolezza delle proprie risorse professionali.
Il dipendente disoccupato
deve poi confrontare la propria offerta di professionalità con un mercato che
si trasforma molto rapidamente e in particolare con una crescente
frammentazione della domanda: tramite i servizi di outplacement può
avere l’accesso a fonti di informazione e a reti di relazioni difficilmente
raggiungibili con le sole proprie forze.
Inoltre, dopo il processo di
formazione realizzato con il consulente, il candidato avrà maggiori probabilità
di svolgere l’attività che meglio rispecchia le sue esigenze e attitudini
professionali, e di avviare una nuova attività (dipendente o autonoma) ad
elevata probabilità di successo.
B) Il datore di lavoro,
stipulando un contratto di outplacement il cui costo si aggira attorno
al 15% della retribuzione lorda annuale del dipendente, può facilitare in modo
decisivo la risoluzione consensuale e amichevole del rapporto di lavoro, e può
ridurre l’apprensione tra chi resta in azienda (che probabilmente apprezzerà la
disponibilità ad offrire un sostegno concreto a chi è costretto a uscire).
Affinchè
questi benefici siano effettivi peraltro è necessario:
6.
L’outplacement e il lavoro autonomo
Il termine anglosassone fin
qui usato (outplacement) potrebbe venire tradotto con ricollocamento,
cogliendo così molto bene l’aspetto che è già stato evidenziato, cioè il ruolo
di ammortizzatore privato per casi di perdita dell’occupazione.
In realtà l’esperienza
condotta da chi scrive suggerisce piuttosto l’opportunità di utilizzare la
locuzione "consulenza di transizione di carriera", poichè i programmi di cui si è parlato aiutano le persone a
impostare diversamente dal passato o dalla consuetudine il problema della
propria occupazione.
I perni dei programmi sono
infatti:
Seguendo questi programmi il
candidato non si limita a cercare un posto con azioni reattive rispetto
a una domanda già esplicita, ma si cimenta in un piano di attività rivolte a
promuovere l’offerta sè come persona in possesso
specifiche competenze, proponendosi ai potenziali clienti e anche
aiutandoli ad analizzare i loro bisogni.
L’ affermazione contenuta
nelle ultime parole non sembri eccessiva: questo modo di proporsi si rivela
infatti particolarmente efficace verso imprese medie e piccole, nelle quali:
E’ quindi facile che il candidato,
seguendo il programma di outplacement, maturi ed assuma l’atteggiamento
del lavoratore autonomo, impegnato a vendere un prodotto e concentrato sui
bisogni dei clienti.
Non stupisce pertanto che, a
conclusione del programma, per i candidati perda relativamente d’importanza la
forma giuridica della nuova occupazione: nell’esperienza italiana, almeno un
quarto di loro intraprende attività genericamente definibili di lavoro
autonomo.
Si potrebbe quindi concludere
che il servizio di outplacement, forse meglio definibile
"consulenza di transizione di carriera", è una modalità di
avvicinamento di lavoratori dipendenti al lavoro autonomo, sia perchè i
candidati mettono in atto azioni di promozione personale ("imprenditorializzazione" dell’offerta) sia perchè molti di loro alla fine abbandonano il lavoro
dipendente.
Riprendendo inoltre il
riferimento alle piccole e medie imprese, si può anche osservare che la
"consulenza di transizione di carriera" apre canali di trasferimento
delle competenze gestionali e specialistiche dalle imprese maggiori a quelle
minori.
Essa infatti, quando opera a
favore di candidati provenienti da grandi imprese, fornisce a queste persone,
abituate ad operare in ambiti dove la domanda di competenze è relativamente ben
definita ed espressa, gli strumenti necessari per esplorare gli ambiti delle
minori imprese, dove questa domanda deve essere scovata, sollecitata,
interpretata.
Infine, si può osservare che
molti dei metodi sperimentati ed applicati nei servizi di "consulenza di
transizione di carriera" potrebbero venire utilmente impiegati in servizi
rivolti a "imprenditorializzare" l’offerta di chi ha concluso un
percorso di studi ad elevata specializzazione e vuole proporsi sul mercato per
ruoli che richiedono anche competenze di relazione, cooperazione,
collaborazione, nonchè la capacità di anticipare i
bisogni dei clienti inventando nuovi lavori e professioni.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULL’OUTPLACEMENT
supplemento a INVESTIRE 10/93
*************
articolo pubblicato da "Il Consulente del Lavoro"
mensile dell'Ordine e dell'Ente di Previdenza dei Consulenti del
Lavoro
nel n° 6/2001
dott. Andrea Ferramola Consulente
del Lavoro
L'ATTIVITA'
DI CAREER COUNSELING
1.
Premessa
Sono ormai numerosi anche in
Italia coloro che svolgono professionalmente attività di career counseling.
Questa espressione in lingua
inglese viene tradotta a volte con "consulenza di carriera", a
volte con "consulenza di orientamento professionale", altre volte con
"consulenza di sviluppo professionale"; le parole sono diverse in
relazione ai diversi contesti in cui si svolge l'attività.
Il diffondersi di questa
attività, comunque la si chiami, è un aspetto del processo di trasformazione
economica, sociale e normativa che ha reso il "mercato del lavoro"
molto più libero del passato.
Infatti oggi è finalmente
possibile realizzare un più autentico confronto (e quindi incontro) tra la
domanda e l'offerta di competenze e prestazioni professionali; questo
confronto-incontro, che è comprensibilmente utile agli obiettivi dei datori di
lavoro (domanda), può diventare sempre più efficace e vantaggioso anche
per i lavoratori (offerta) a condizione che anche questi ultimi sappiano
darsi obiettivi professionali chiari e poi perseguirli, anche con un pizzico di
imprenditorialità.
Avere obiettivi chiari può
non essere facile per tutti, perché il mercato del lavoro è molto frammentato e
non sempre interpretabile con facilità; d'altronde le aspettative dei
lavoratori sono sempre più elevate, a volte non esplicite e non coerenti tra
loro.
Si propone così l'utilità di
una attività professionale (career counseling, appunto) nella quale un
consulente mette a disposizioni metodi ed esperienze per aiutare le persone,
che affrontano il mercato del lavoro, ad effettuare valutazioni realistiche, a
definire un concreto progetto di ricerca, a realizzare scelte consapevoli.
Diciamo subito che questa consulenza
non è un servizio di collocamento (anche se può avere collegamenti con questo),
ma una relazione professionale di aiuto.
Questa relazione si instaura
tra un professionista e un cliente che vuole affrontare e risolvere nel modo
migliore un problema, cioè quello di cercare la prima occupazione oppure una
nuova opportunità di lavoro.
Più in dettaglio, il percorso
lungo il quale il consulente può aiutare il cliente comprende innanzitutto
queste fasi:
Infatti il cliente viene indirizzato
ad esplorare tutti i possibili contatti e i percorsi che lo portano a conoscere
anche le situazioni poco note, che possono nascondere l’opportunità di una
occupazione coerente con le proprie competenze.
A questo fine lavora con il
consulente per migliorare le capacità di comunicazione, sia scritta sia
verbale, per allargare la propria rete di relazioni, per ricercare informazioni
utili, per organizzare le proprie azioni di ricerca.
Il cliente viene così aiutato
sia a cercare un posto realizzando efficaci azioni reattive
rispetto alle richieste già esplicite del mercato, sia a cimentarsi in un piano
di attività rivolte a promuovere verso i potenziali
"acquirenti" l'offerta delle proprie specifiche competenze, idonee
a soddisfare specifici bisogni di professionalità.
(Quest'ultimo modo di
proporsi si rivela infatti particolarmente efficace verso quelle imprese e
organizzazioni nelle quali:
Proseguendo il percorso, il
consulente può arrivare ad assistere il cliente in queste ulteriori fasi:
In tutte fasi il consulente
non deve proporsi di prendere decisioni al posto del cliente, né può affrontare
da solo tutti gli eventuali problemi specialistici: in questi casi suggerisce
di ricorrere alle consulenze integrative più opportune (ad esempio
consulenze psicologiche, oppure previdenziali, oppure fiscali).
In base al tipo di problema
manifestato dal cliente, nonché alle caratteristiche professionali del
medesimo, il consulente può anche limitare la propria attività solo ad alcune
delle fasi che sono state illustrate.
Se invece vengono realizzate
tutte le fasi, la consulenza guida e assiste il cliente nel realizzare
progressivamente un vero e proprio piano di "marketing personale",
così definibile perchè ha sicuramente alcune analogie con i piani aziendali di
marketing, che definiscono le caratteristiche dei prodotti e le strategie di
vendita.
3.
Quando e dove si ricorre al career counseling
Chi può avere concretamente
bisogno di questa consulenza?
Tutte le persone che vogliono
o che debbono affrontare un cambiamento della propria condizione professionale;
ad esempio:
In ogni caso l'utilizzo del
servizio non può che essere volontario e deve essere espressamente accettato
dalla persona.
Considerando che i casi di
utilizzo sono così diversi l'uno dall'altro, il servizio di consulenza può
venire proposto in luoghi e in modi anch'essi diversi; ad esempio:
Anche l'iniziativa di
proporre l'utilizzo del servizio è attribuibile a diversi soggetti; ad esempio,
nel caso dell'outplacement è di norma il datore di lavoro che mette a
disposizione di propri dipendenti, nei confronti dei quali ha deciso di
interrompere il rapporto di lavoro, un servizio di consulenza per la ricerca di
una nuova occupazione.
( Anche in questo caso il servizio viene però
effettivamente attivato solo a seguito di un accordo tra il datore e il
dipendente).
Casi diversi sono quelli in
cui il servizio è proposto da istituti scolastici, nell'ambito dei propri
programmi di orientamento, oppure da centri di formazione, costituendo così una
specifica offerta formativa oppure una parte dei programmi dei corsi di
qualificazione e specializzazione.
In questi casi (ma non solo
in questi) il consulente può assistere i clienti sia individualmente sia in
piccoli gruppi.
Ancora un altro caso è quello
i cui quadri e dirigenti, desiderosi di dare impulso alla propria carriera, si
rivolgono a studi o società specializzate per ottenere aiuto nella valutazione
della propria professionalità e quindi nella ricerca delle opportunità presenti
nel mercato (job hunting).
4.
Chi è il career counsellor
Vista la diversità delle
situazioni, degli ambienti e dei clienti, è comprensibile che non esista il
"consulente di carriera" (career counsellor)
inteso come soggetto appartenente a una famiglia di condizione professionale
omogenea e di formazione tipica comune.
Alcuni consulenti sono liberi
professionisti, altri lavoratori dipendenti degli enti che offrono il servizio;
alcuni hanno esperienze di lavoro in azienda o nella consulenza aziendale,
altri hanno esperienze riconducibili alle attività socio-assistenziali.
Il Consulente del Lavoro, che
abitualmente assiste i datori di lavoro, può essere un valido consulente di
carriera (e quindi assistere, in questo caso, anche dipendenti o aspiranti
dipendenti) proprio in forza della sua conoscenza delle imprese e delle
attività professionali.
Il Consulente del Lavoro è
infatti esperto del contratto giuridico che si stipula tra domanda e offerta di
lavoro, ma sa anche che l'indispensabile attenzione agli aspetti formali del
rapporto di lavoro non può, da sola, prevenire o dare risposta ai problemi di
motivazione e di soddisfazione personale.
Questi problemi, infatti,
nascono anche nelle situazioni, magari ineccepibili dal punto di vista
contrattuale e formale, in cui i lavoratori hanno fatto scelte professionali
confuse, affrettate, non coerenti con le proprie aspirazioni personali.
Il Consulente del Lavoro
possiede molte competenze utili per effettuare l'attività di career
counseling, che, come abbiamo visto, può svolgersi in forme e in sedi
diverse.
In tutti i casi, comunque, si
tratta di un servizio che può facilitare l'instaurarsi, tra datore di lavoro e
lavoratore, di un più consapevole "contratto psicologico", che senza
sostituirsi al contratto giuridico consente l'instaurarsi di un rapporto
fondato su attese realistiche ed esplicite.
Questo è alla base di una
possibile completa soddisfazione, che non sia solo economica, delle parti.
*************
articolo pubblicato da "Il Consulente del Lavoro"
mensile dell'Ordine e dell'Ente di Previdenza dei Consulenti del
Lavoro
nel n° 10/2003
LE " 4
P " PER
Da molti anni l'espressione
"gestione delle risorse umane" viene usata in alternativa alla
più tradizionale espressione "gestione del personale".
Probabilmente si vuole così
dare evidenza al concetto che i dipendenti non costituiscono semplicemente un
costo per il datore di lavoro, ma rappresentano invece una fonte di creazione
del valore, così come le altre risorse impiegate nei processi produttivi.
Questo concetto ne implica un
altro: cioè che anche i dipendenti, così come le altre risorse, devono venire
fatti oggetto di una continua valutazione da parte di chi conduce l'azienda,
allo scopo di verificarne l'adeguatezza e l'idoneità agli obiettivi produttivi.
Qui però iniziano le
differenze: infatti i dipendenti, che sono oggetto di valutazione, a loro volta
effettuano una continua valutazione del livello di soddisfazione (materiale e
immateriale) che ricavano dalle attività che svolgono, al fine di decidere se
proseguirle oppure se ricercarne altre più appaganti.
Il fatto che le valutazioni,
sia quelle del datore di lavoro sia quelle dei dipendenti, non avvengano sempre
in modo preordinato e non vengano sempre formalizzate e comunicate
esplicitamente, nulla toglie alla loro importanza: esse infatti sono la base di
giudizio per importanti decisioni.
Tra queste decisioni ci sono
certamente le seguenti, che competono al datore di lavoro:
Queste decisioni del datore
di lavoro possono avere una pesante influenza sul livello di soddisfazione dei
propri collaboratori; l'influenza può essere negativa se le decisioni, magari
efficaci nell'immediato per gli obiettivi aziendali, sono basate su valutazioni
delle risorse umane non eque e non trasparenti.
EQUITA',
TRASPARENZA, EFFICACIA
E' bene essere chiari quando
facciamo riferimento all'equità e alla trasparenza:
Ovviamente, l'equità e la
trasparenza non sono mai separabili dalla efficacia delle decisioni, cioè dalla
loro idoneità a risolvere i problemi e a soddisfare le esigenze di
sopravvivenza e di sviluppo dell'azienda, che è il bene primario che chi la
conduce deve salvaguardare.
E' quindi utile che sia chi conduce
l'azienda, sia il consulente del lavoro che lo assiste, abbiano alcuni
fondamentali punti di riferimento, sia per effettuare in modo equo e
trasparente le valutazioni sulle "risorse umane", sia per decidere
efficacemente sulla loro acquisizione, gestione e sviluppo.
Ai lettori proporrò, per
incominciare, quattro punti di riferimento, più volti verificati
nell'esperienza professionale, che chiamo, dalla lettera iniziale di ognuno,
"le 4 P ".
Diversamente da tutte le
altre risorse aziendali, le risorse umane sono persone, e quindi:
Infine, è bene ricordare che
anche chi valuta le risorse umane (il datore di lavoro, il suo consulente) è, a
sua volta, una persona, alla quale sono applicabili le precedenti
considerazioni.
Le valutazioni sulle risorse
umane, come già detto, hanno lo scopo di verificarne l'adeguatezza e l'idoneità
agli obiettivi produttivi e non quello di giudicarle in assoluto; pertanto sono
necessarie due importanti azioni preliminari da parte del datore di lavoro.
Le azioni preliminari sono le
seguenti:
Le due azioni descritte sono
rispettivamente la " analisi e descrizione delle posizioni"
e la "valutazione delle posizioni"; sono state definite azioni
preliminari perchè devono venire effettuate prima delle altre valutazioni e a
prescindere dalle caratteristiche delle persone che ricoprono di volta in volta
le posizioni.
La valutazione delle
posizioni può limitarsi a comparare tra loro l'importanza di ciascuna delle
posizioni presenti in azienda oppure può spingersi, se necessario, a
confrontarla con quella delle posizioni simili presenti in altre aziende; a
questi scopi sono utilizzabili metodi di valutazione che possono essere anche
complessi e che non è possibile descrivere in questo articolo.
Invece è indispensabile
sottolineare che, in mancanza di una adeguata descrizione e valutazione delle
posizioni, sarà molto difficile gestire con equità, trasparenza e soprattutto
efficacia le seguenti attività :
Non tutte le persone sono
egualmente efficaci nello svolgere i compiti e nell'assolvere le responsabilità
previste per la posizione che ricoprono: in altre parole, è normale che diverse
persone, che ricoprono posizioni identiche o molto simili, abbiano però
prestazioni lavorative (o "rendimenti") diverse.
Ovviamente questa diversità è
accettabile per l'azienda solo a condizione che vengano rispettati i livelli
minimi prestabiliti di quantità e di qualità della prestazione.
La "valutazione delle
prestazioni" costituisce il consuntivo del rendimento lavorativo, in
un certo periodo, delle persone che ricoprono le posizioni previste dalla
struttura aziendale; questa valutazione costituisce la base per assumere
decisioni:
I metodi applicabili e le
cautele richieste per effettuare la valutazione delle prestazioni costituiscono
un ulteriore argomento di approfondimento, che non è possibile trattare qui.
Il futuro di ogni azienda dipende
dalla capacità di ricavare tutto il possibile e tutto il meglio dalle risorse
disponibili, quindi anche dalle risorse umane.
Le persone, con il passare
del tempo, possono arrivare a offrire prestazioni lavorative non solo
accresciute in quantità e in qualità, ma anche diverse nei contenuti.
Non tutti hanno le medesime
attitudini e le medesime motivazioni verso il lavoro; inoltre non per tutti lo
sviluppo di carriera può o deve significare una crescita di livelli gerarchici
(quante volte viene citato l'esempio del bravo operaio specializzato che,
promosso capo reparto, inizia a dare prestazioni insoddisfacenti
!)
Tutti (o quasi tutti) hanno
bisogno di un ambiente di lavoro stimolante e del sostegno di altre persone
esperte per arrivare a scoprire e ad esprimere completamente il proprio
potenziale, facendo leva sui propri punti di forza e impegnandosi sulle proprie
"aree di miglioramento".
Una sistematica attività di
" valutazione del potenziale " delle persone che lavorano in
azienda è indispensabile per il datore di lavoro che si prefigge:
Anche la "valutazione
del potenziale" consente, e spesso richiede, l'utilizzo di metodi
specialistici, che però sono diversi da quelli utilizzabili per la
"valutazione delle prestazioni"; infatti essi devono essere idonei ad
effettuare le previsioni sui comportamenti professionali futuri, e non i
consuntivi sulle prestazioni passate.
CONCLUSIONI
Per il datore di lavoro, e
per il consulente che lo assiste, si presenta un percorso lungo per far sì che
le valutazioni delle risorse umane in azienda avvengano sempre nel rispetto dei
principi di equità, trasparenza ed efficacia.
Il primo, ed irrinunciabile,
passo consiste nell'avere ben chiare le differenze di contenuto e di scopo tra
le valutazioni delle posizioni, le valutazioni delle prestazioni e le
valutazioni del potenziale.
Queste differenze devono poi
essere fatte comprendere alle persone che sono coinvolte nelle valutazioni, e
per ottenere la comprensione sono necessari tempo ed attenzione.
Il risultato finale sarà un
clima aziendale migliore e una crescita della motivazione.
articolo pubblicato da "Il Consulente del Lavoro"
mensile dell'Ordine e dell'Ente di Previdenza dei Consulenti del
Lavoro
nel n° 2/2004
EQUITA' E
COMPETITIVITA'
Imprenditori e consulenti
hanno appreso dall'esperienza che la retribuzione non è l'unico fattore che
determina la soddisfazione dei dipendenti e la loro efficace integrazione nel
sistema aziendale.
Ciononostante, la
retribuzione resta un fattore fondamentale, che può essere fonte di malcontento
e di controversie se non viene gestito attentamente.
Ovviamente le situazioni
cambiano da azienda ad azienda.
Infatti per alcune aziende,
che impiegano professionalità semplici o che operano in un mercato del lavoro
poco dinamico, può essere sufficiente dare applicazione agli inquadramenti e ai
livelli retributivi minimi previsti dai contratti collettivi.
Al contrario, per molte
piccolissime aziende, che impiegano professionalità più complesse e ricercate o
caratterizzate da un rapporto fiduciario, è necessario (ma anche sufficiente)
che il trattamento retributivo dei pochi dipendenti (o magari dell'unico!) sia
concordato su base individuale, superando senza problemi, quando necessario, i
minimi contrattuali.
La situazione diventa invece
più complessa nelle aziende di maggiori dimensioni, perchè in questi casi le
retribuzioni devono essere adeguate a professionalità diverse e non sempre
previste dai contratti collettivi, ma contemporaneamente devono essere
"giuste" sia per l'azienda sia per i lavoratori.
Quando le retribuzioni sono
"giuste"?
Generalmente quando sono
idonee:
EQUITA'
E COMPETITIVITA'
In sintesi, possiamo dire che
il fattore retribuzione è gestito attentamente quando è caratterizzato da equità
e competitività.
Che cosa significano
"equità" e "competitività"?
Più
esplicitamente, l'equità richiede che le differenze retributive siano
proporzionate alle differenze di prestazioni da parte dei lavoratori.
Parlando
di "differenze di prestazioni" dobbiamo intendere:
-
sia le differenze tra la quantità e la qualità dei compiti e delle responsabilità
(che costituiscono la prestazione richiesta) che sono assegnate alle
diverse posizioni organizzative (o "ruoli") aziendali
-
sia le differenze del rendimento individuale (che costituisce la prestazione
effettiva) che è realmente prodotto dalle diverse persone che ricoprono
posizioni simili o comunque paragonabili.
E' importante ricordare che
sbaglierebbero gli imprenditori e i consulenti che si preoccupassero di
accertare solo in base a calcoli matematici l'esistenza dell'equità e della
competitività.
Infatti sono le persone che
lavorano in azienda che, sulla base delle proprie concrete esperienze durante
tutta la durata del rapporto di lavoro, devono percepire l'equità e la
competitività come criteri realmente applicati.
Quindi l'equità e la
competitività sono anche un obiettivo della politica del personale, da
raggiungere e da mantenere.
Per raggiungere questo
obiettivo a imprenditori e consulenti spettano i seguenti compiti
:
Iniziamo ad approfondire il
contenuto di questi punti.
CONOSCERE
La conoscenza della
situazione di fatto parte dall'esame del livello attuale di coerenza interna.,
preliminarmente in modo sintetico e poi necessariamente in modo analitico.
L'esame sintetico della
coerenza interna viene effettuato mettendo a confronto i valori retributivi con
la struttura organizzativa: si tratta, in pratica, di abbinare le posizioni
dell'organigramma aziendale con le retribuzioni di fatto dei rispettivi
titolari.
Questo esame sintetico
va considerato solo preliminare perchè:
L'esame preliminare consente
insomma di individuare con certezza solo le situazioni più evidentemente in
contrasto con il principio di equità; le altre situazioni richiedono di essere
esaminate più analiticamente.
L'esame analitico
viene effettuato svolgendo due attività: la analisi e descrizione
delle posizioni e la valutazione delle posizioni, la prima
delle quali è propedeutica alla seconda.
Definiamo queste due attività :
La valutazione delle
posizioni non è un esercitazione astratta, ma
costituisce la premessa:
Infatti, una volta effettuata
la valutazione delle posizioni, diventa possibile:
Ho parlato di
"fasce" perchè per ogni gruppo di posizioni di peso omogeneo è
necessario prevedere un livello retributivo minimo e uno massimo, all'interno
dei quali devono rientrare tutte le rispettive retribuzioni individuali di
fatto.
Quindi all'interno delle
fasce sono possibili differenze retributive, che però devono essere determinate
dalle differenze di rendimento (= prestazione effettiva) dei titolari
delle posizioni.
PESARE
LE POSIZIONI
Ovviamente, affinchè le fasce abbiano un senso, è necessario effettuare
la pesatura con un metodo idoneo.
Normalmente è efficace il
metodo fondato su fattori di valutazione, che prende a riferimento
caratteristiche descrivibili in modo uniforme a prescindere dai contenuti
specialistici; queste caratteristiche sono ricorrenti in tutte le posizioni
lavorative, anche se in misura diversa per ognuna.
In questo modo è possibile
assegnare a ciascuna posizione, secondo una scala graduata che misura
l'intensità di ciascun fattore, una serie di punteggi che, sommati infine tra
loro, determinano il peso complessivo.
I fattori generalmente
utilizzati sono i seguenti:
Se è necessario rendere la
valutazione molto precisa, i fattori possono venire scorporati in diverse
componenti: in questo modo la valutazione (pesatura) di ciascuna posizione
viene ripetuta utilizzando diversi e particolari punti di vista.
VERIFICARE
Una volta effettuata la
valutazione delle posizioni, è possibile procedere nell'esame di coerenza
interna, cioè è possibile verificare il grado di corrispondenza tra le
differenze di punteggio delle posizioni e le differenze di retribuzione
individuale di fatto dei titolari delle medesime.
Se la corrispondenza è
inesistente o scarsa bisogna analizzare le cause, che possono essere molto
diverse.
Facciamo alcuni esempi
dei casi che si possono verificare:
La conoscenza dettagliata di
tutte i casi di non corrispondenza tra le differenze di punteggio e le
differenze della retribuzione individuale di fatto consente all'imprenditore e
al consulente di individuare le cause che minacciano realmente l' equità interna, e quindi di adottare la politica
retributiva aziendale ritenuta più idonea a correggere progressivamente la
situazione.
La politica retributiva
aziendale sarà ovviamente condizionata dalla strategia generale dell'azienda,
quindi dovrà essere funzionale al tipo di impiego e di valorizzazione delle
risorse umane che l'imprenditore si prefigge di ottenere e che il mercato rende
possibile.
Non dimentichiamo infatti,
oltre al principio di equità, il principio di competitività.
Conviene però osservare che
le analisi di coerenza interna effettuate sulle retribuzioni sono utili anche
allo scopo di perseguire la competitività.
Sappiamo infatti che è
normale effettuare il confronto delle retribuzioni correnti in azienda con
quelle presenti nel mercato di riferimento, ad esempio facendo ricorso alle
indagini retributive di società specializzate o limitandosi alle informazioni
diffuse da associazioni, giornali e riviste.
Questo confronto, però, è
attendibile solo se è basato sulle informazioni che vengono rese disponibili
dalle attività di analisi e descrizione e di valutazione delle
posizioni, che abbiamo descritto in precedenza.
In caso contrario, si rischia
di mettere a confronto le retribuzioni correnti in azienda con le retribuzioni
correnti sul mercato per ruoli che hanno magari la medesima denominazione ma
che non sono corrispondenti nei contenuti.
CONCLUSIONI
Sarà la politica retributiva
aziendale che determinerà la scelta e l'utilizzo degli strumenti di tecnica
retributiva (nonchè degli strumenti per comunicarli
al personale) .
Quindi, per fare alcuni
esempi, l'equità e la competitività potranno venire perseguite attraverso
interventi sia sulle retribuzioni fisse (superminimi, passaggi di categoria)
sia su quelle variabili (premi individuali, premi collettivi), oppure
privilegiando gli uni anzichè gli altri.
In altri casi, invece,
potranno essere più efficaci gli interventi relativi ai benefici aggiuntivi,
alle indennità particolari, alle forme di ricompensa non monetarie.
articolo pubblicato da "Il Consulente del Lavoro"
mensile dell'Ordine e dell'Ente di Previdenza dei Consulenti del
Lavoro
nel n° 5/2004
DEL
CAPITALE UMANO
CHE COS'E' IL CAPITALE UMANO
C'è una
parte del capitale aziendale che alla fine della giornata lavorativa esce dalla
fabbrica o dallo studio professionale o dal cantiere, per farvi ritorno il
giorno dopo: si tratta del capitale umano, ossia delle persone che lavorano in
azienda, con tutto il rispettivo patrimonio di conoscenze e di capacità
Mobilità,
evoluzione, variabilità sono alcune delle caratteristiche che rendono il
capitale umano non facile da valutare: ma quando manca una corretta
valutazione, come è possibile mantenere e sviluppare questa (come qualunque
altra) risorsa?
Eppure
l'imprenditore e il consulente non possono rinunciare a questo compito solo
perchè è complesso: devono piuttosto chiedersi quali sono gli strumenti per
affrontarlo e riuscire così a rispondere a queste due domande:
Il problema,
si è detto, è complesso, e non può venire risolto in modo soddisfacente
adottando soluzioni che apparentemente si presentano semplici, ma poi si
rivelano incomplete.
Una
soddisfacente valutazione del capitale umano richiede infatti che vengano presi
in esame numerosi aspetti, e in queste note esporrò sinteticamente quelli
principali.
GLI ASPETTI DA VALUTARE
1)
ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO:
la
valutazione del capitale umano inizia con l'analisi degli organici previsti nei
reparti e negli uffici, la descrizione dei contenuti professionali dei ruoli,
l'analisi della dislocazione delle persone, l'analisi delle procedure operative
seguite nell'esecuzione dei processi produttivi.
2)
REQUISITI PROFESSIONALI:
è necessario
mettere in chiara evidenza le responsabilità assegnate ai ruoli esistenti in
azienda, cioè la natura dei problemi che sono chiamati a risolvere: in questo
modo è possibile definire quali specifiche competenze sono richieste a coloro
che devono ricoprire questi ruoli.
3)
CONSISTENZA ED ANDAMENTO DEGLI ORGANICI:
devono
venire analizzati la distribuzione del personale (per tipo di rapporto, per
qualifiche, età, anzianità aziendale, titoli di studio, ecc.), il turn-over,
l'entità e le cause degli straordinari, l'entità e le cause delle assenze.
4)
TRATTAMENTI RETRIBUTIVI:
questo
delicato aspetto deve venire analizzato esaminando la corrispondenza tra
l'importanza assegnata ai ruoli e le rispettive retribuzioni, il costo
complessivo del personale, il costo per reparto e per ufficio, e infine la
competitività dei costi e delle retribuzioni sul mercato di riferimento
(territoriale e settoriale).
5) CLIMA
INTERNO:
il clima
interno è dato dalla percezione che le persone hanno della situazione
organizzativa e delle condizioni del proprio lavoro ("benessere
lavorativo"), e per essere indagato con efficacia richiede che si faccia
ricorso a questionari e ad interviste individuali e di gruppo.
6)
PRESTAZIONI E POTENZIALE:
la
valutazione delle prestazioni individuali consiste nell'analisi periodica del
rendimento di ogni persona nel ruolo che le è stato assegnato; la valutazione
del potenziale è invece una previsione del rendimento che in futuro ogni
persona potrà offrire, a prescindere dal ruolo e in base alle proprie
attitudini e capacità.
7)
RECLUTAMENTO, SELEZIONE, ACCOGLIMENTO:
vengono
analizzati gli strumenti utilizzati nella ricerca dei candidati all'assunzione,
i metodi applicati per scegliere tra i candidati, le procedure di inserimento e
ambientamento dei neo assunti in azienda.
8)
RICOMPENSA E PERCORSI DI CARRIERA:
si tratta di
un altro delicato aspetto, collegato a quello citato al punto 4); esso deve
venire valutato analizzando i sistemi utilizzati per incentivare e per premiare
le migliori prestazioni, nonchè le opportunità di
progressione nel ruolo che vengono offerte alle persone.
8)
FORMAZIONE:
la
valutazione del capitale umano richiede che vengono analizzati i bisogni di
aggiornamento e qualificazione professionale delle persone, in rapporto agli
obiettivi aziendali e agli standard di qualità che si vogliono raggiungere; la
conoscenza dei bisogni consente di pianificare i corsi per gruppi e i programmi
di apprendimento individuale.
9)
QUALITA' E COMUNICAZIONI INTERNE:
vengono
esaminate le procedure utilizzate per diffondere con regolarità e completezza
le informazioni necessarie al buon funzionamento aziendale, nonchè
le procedure per raccogliere e verificare i suggerimenti e i reclami del
personale.
CONCLUSIONI
Come si è
potuto vedere, un programma di valutazione e valorizzazione del capitale umano,
che sia caratterizzato da organicità e completezza, richiede di investire tempo
ed energie.
Questo
investimento può venire affrontato più serenamente se ricordiamo che: