INDICE

(fare clic sul titolo dell'articolo ricercato)

 

8A. DALL’ OUTPLACEMENT ALLA CONSULENZA DI TRANSIZIONE DI CARRIERA

8B. L'ATTIVITA' DI CAREER COUNSELING

8C. LE " 4 P " PER LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

8D. LE RETRIBUZIONI AZIENDALI: EQUITA' E COMPETITIVITA'

8E. LA VALUTAZIONE E LA VALORIZZAZIONE DEL CAPITALE UMANO

 

 

 

A.

articolo pubblicato da "Diritto delle Relazioni Industriali"

rivista dell'Associazione Lavoro e Ricerche ALAR nel n° 1/1999

Giuffrè Editore

 

dott. Andrea Ferramola          Consulente del Lavoro

DALL’ OUTPLACEMENT ALLA CONSULENZA DI TRANSIZIONE DI CARRIERA

1. Premessa 2. Le caratteristiche fondamentali dell’outplacement 3. Il contratto di outplacement 4. I contenuti del servizio di outplacement 5. I benefici dell’ outplacement 6. L’outplacement e il lavoro autonomo

1. Premessa

La diffusione in Italia dell’utilizzo del servizio di outplacement ha accompagnato quel processo di trasformazione economica, sociale e normativa che ha dato all’espressione "mercato del lavoro" un significato effettivo molto più vicino a quello letterale.

Infatti oggi siamo in presenza della possibilità di un effettivo libero confronto e incontro tra domanda e offerta di competenze e di prestazioni professionali e questa possibilità diventerà sempre più realtà anche a condizione che si affermi una "imprenditorializzazione" dell’offerta.

Il servizio di outplacement ha contribuito a creare in una fascia piccola ma importantissima dei prestatori di lavoro questa "imprenditorializzazione", e pertanto può venire esaminato in una prospettiva ben più ampia di quella propria di un servizio "di nicchia" nel panorama della consulenza per la gestione delle risorse umane.

Questo scritto si prefigge di motivare questa affermazione.

2. Le caratteristiche fondamentali dell’outplacement

Il servizio di outplacement è un servizio di consulenza per la ricerca di una nuova occupazione, che un datore di lavoro mette a disposizione di propri dipendenti nei confronti dei quali ha deciso di interrompere il rapporto.

Questa decisione è di norma una manifestazione del potere di indirizzo del datore di lavoro: è cioè la conseguenza di scelte di ristrutturazione e riorganizzazione che determinano l’esubero o l’obsolescenza (relativa) di uno o più dipendenti.

Il servizio di outplacement viene effettivamente attivato solo a seguito di un accordo (individuale o collettivo) che esclude (o magari conclude) il contenzioso tra il datore e il dipendente e stabilisce il termine e le condizioni di cessazione del rapporto di lavoro.

Quindi il servizio di outplacement è un ammortizzatore privato della perdita dell’occupazione, e in pratica consiste nell’affiancamento al dipendente di un consulente specializzato che lo assiste nella ricerca di nuove opportunità di occupazione, sia attraverso un programma di formazione individuale idoneo a valorizzare le qualità professionali e umane, sia attraverso adeguati strumenti di logistica.

Il servizio di outplacement è apparso in Italia alla metà degli anni ‘80, e si è veramente affermato con il diffondersi del fenomeno della disoccupazione di lunga durata anche tra le nuove "vittime" dei processi di ristrutturazione, cioè dirigenti e quadri, figure professionali abituate a negoziare individualmente il proprio rapporto con il datore di lavoro, ma anche abituate, in precedenza, a essere cercate piuttosto che a cercare lavoro.

La diffusione del servizio in Italia, che è stato utilizzato ormai da numerose migliaia di persone, in maggioranza dirigenti, è peraltro ancora lontana da quella dei servizi analogamente denominati (ma non necessariamente identici nei contenuti) in altri paesi dell’Europa e del mondo.

 

3. Il contratto di outplacement

L’attivazione e l’erogazione del servizio di outplacement non sono regolate da specifica legislazione: nella prevalente prassi si realizza un contratto a favore di terzi, e i soggetti del triangolo sono: un datore di lavoro contraente, un’impresa specializzata fornitrice del servizio, un dipendente beneficiario.

Non esistono limiti formali all’ambito di utilizzabilità del servizio: il datore di lavoro non deve essere necessariamente un imprenditore possedere particolari caratteristiche dimensionali; al dipendente non sono richiesti requisiti di categoria, età, anzianità; la valutazione dei requisiti dell’impresa specializzata è rimessa unicamente ai meccanismi di mercato.

In Italia, infatti, chiunque può proporsi per erogare servizi di outplacement, ma alcune imprese che condividono e applicano uno specifico codice etico a tutela dei clienti datori di lavoro e dei candidati fanno parte dell’A.I.S.O. (Associazione Italiana Società di Outplacement), fondata nel 1988 e aderente a Confindustria.

In base al codice etico, tra l’altro, le società dell’A.I.S.O. non svolgono attività di ricerca e selezione del personale per conto di datori di lavoro, e inoltre non ricevono incarichi di consulenza a spese dei dipendenti.

Quest’ultimo aspetto merita una sottolineatura: infatti non si può parlare di outplacement se la richiesta di un servizio di consulenza per la ricerca di una nuova occupazione proviene direttamente da un dipendente; in questo caso il servizio erogato può avere contenuti simili, ma la natura del contratto e del rapporto cambia radicalmente, e si parla più opportunamente di servizio di job search oppure di job hunting.

Stipulando il contratto, il datore di lavoro contraente incarica l’impresa specializzata di prestare i suoi servizi a favore del dipendente beneficiario, che nel lessico tipico è normalmente definito "candidato" (e che di fatto diventa il vero, o il principale cliente dell’impresa).

L’impresa specializzata può venire scelta dal datore unilateralmente, oppure d’intesa con dipendente; in ogni caso, però, il corrispettivo della prestazione dell’impresa è sostenuto interamente dal datore di lavoro.

L’impresa di outplacement assume l’obbligazione di prestare il proprio servizio fino a quando il candidato si ricollocherà in una attività lavorativa, dipendente o indipendente; nella prassi prevalente, pertanto, l’impegno dell’impresa non ha una durata prestabilita e non è sottoposta a termine.

L’avvenuta ricollocazione del candidato è attestata autonomamente dallo stesso, in una dichiarazione rilasciata all’impresa di outplacement: cio è coerente con la natura consulenziale del servizio, che non consiste nel ricerca di un’opportunità di lavoro a nome e per conto del candidato, ma nello sviluppo delle sue autonome capacità di ricerca.

La stipulazione del contratto di outplacement presuppone ovviamente il consenso da parte del dipendente, che però non si manifesta attraverso l’intervento nella stipulazione stessa: di norma, il datore di lavoro richiede separata dichiarazione di accettazione in forma scritta (ad esempio all’interno dell’accordo di risoluzione consensuale), e anche l’impresa di outplacement incontra il possibile candidato prima della stipulazione, riservandosi di accettare l’incarico solo dopo avere valutato la situazione professionale e la motivazione individuale della persona.

Se non altro per le considerazioni sopra esposte sulla natura del servizio, non è possibile che l’impresa di outplacement assuma un incarico sottoposto a limitazioni, richieste dal datore di lavoro contraente, relative all’ambito territoriale o merceologico nel quale potrà ricollocarsi il candidato; è poi prassi consolidata (anche a prescindere dai nuovi obblighi per la tutela della riservatezza) che non venga fornita al datore alcuna informazione sui risultati ottenuti dal candidato che non sia stata da questo autorizzata.

In molti casi la stipulazione del contratto avviene su richiesta avanzata dal dipendente licenziato al datore e non su autonoma iniziativa di quest’ultimo, ma come non vi è obbligo di aderire ad una eventuale proposta del datore di lavoro di utilizzo del servizio di outplacement, così non si può neppure asserire l’esistenza di un generale diritto allo stesso in capo ai dipendenti.

Peraltro i contratti collettivi di lavoro di alcune categorie di dirigenti contengono clausole che impegnano l’azienda alla stipulazione di un contratto di outplacement a favore del dirigente licenziato che ne faccia richiesta.

Queste clausole per lo più stabiliscono dei limiti ai costi che le imprese sono tenute a sostenere.

Meritano una menzione a parte gli accordi sindacali aziendali stipulati in occasione di ristrutturazioni e di riduzioni del personale in grandi imprese industriali o di servizi, nei quali viene esplicitamente prevista la realizzazione, a favore dei dipendenti (impiegati e operai) collocati in mobilità o in cassa integrazione straordinaria, di servizi collettivi che hanno assunto denominazioni svariate (outplacement di gruppo, centri di continuità professionale, centri di mobilità, centri di transizione) e che costituiscono un adattamento (a volte radicale) del servizio individuale di outplacement alle loro caratteristiche professionali.

 

4. I contenuti del servizio di outplacement

E’ già stato evidenziato che le imprese di outplacement non sono agenzie di collocamento: il loro servizio consiste innanzitutto nel realizzare un programma di sostegno psicologico e di preparazione professionale del candidato, e poi nel fornire supporto metodologico e logistico alla sua attività di ricerca dell’occupazione.

L’interlocutore del candidato è un consulente, di norma socio o collaboratore dell’impresa, con il quale si incontra regolarmente e dal quale riceve anche i testi necessari alla realizzazione del programma.

In particolare, il consulente di outplacement assiste il candidato:

  • nella preparazione del suo bilancio professionale, attraverso la ricostruzione dettagliata delle esperienze compiute e delle competenze acquisite
  • nell’analisi dei suoi punti di forza e di debolezza, attraverso il riesame dei successi e degli insuccessi affrontati
  • nella valutazione dei suoi bisogni di formazione e di aggiornamento
  • nella definizione di un obiettivo di lavoro realistico, che tenga conto delle mete e dei vincoli personali e delle trasformazioni del mercato
  • nella preparazione ed attuazione di una strategia di ricerca efficace, basata sull’autopromozione del candidato verso i segmenti del mercato dove sono presenti i bisogni che le sue competenze possono soddisfare.

Il candidato viene indirizzato ad esplorare tutti i possibili contatti e i percorsi che lo portano a conoscere situazioni poco note che possono nascondere l’opportunità di una nuova occupazione, e a questo fine viene affiancato dal consulente per migliorare le capacità di comunicazione, scritta e verbale, e per allargare la propria rete di relazioni.

Il consulente lo assiste nell’analisi dei progressi e delle difficoltà della sua ricerca, e infine nella valutazione delle offerte ricevute e nella scelta finale.

Normalmente ciascun candidato è seguito dal medesimo consulente dall’inizio alla fine del programma, ma questo non esclude che l’impresa di outplacement fornisca anche consulenze integrative (ad esempio consulenze psicologiche e previdenziali).

Il programma di outplacement è in pratica la realizzazione di un progetto di marketing individuale, che il candidato può preparare e soprattutto gestire grazie all’assistenza professionale ricevuta dal consulente e ai supporti logistici che gli vengono messi a disposizione negli uffici dell’impresa di outplacement.

Questi supporti comprendono di norma la possibilità di consultare numerose banche dati sia a stampa sia informatiche (repertori economici, annuari di enti e associazioni, indirizzari, guide specializzate, raccolte di riviste e quotidiani) e l’utilizzo di servizi telefonici, postali e di segreteria, che sono indispensabili per stampare lettere personalizzate di presentazione, instaurare contatti, rispondere ad annunci di lavoro.

Normalmente, dopo l’avvio della nuova attività lavorativa il candidato gode di un periodo di "garanzia", durante il quale può riprendere, a sua semplice richiesta, il programma di outplacement se il ricollocamento ha esito negativo (ad esempio, per mancato superamento del periodo di prova) o se la nuova occupazione si rivela insoddisfacente.

 

 

5. I benefici dell’outplacement

Possiamo distinguere i benefici rilevanti per il dipendente da quelli rilevanti per il datore di lavoro che interrompe il rapporto.

A) Il dipendente che apprende la decisione del datore di interrompere il rapporto e che quindi deve lasciare l’azienda in tempi relativamente brevi e senza avere già un’altra idonea offerta di lavoro, trova nel servizio di outplacement quello che gli operatori del settore definiscono "un paracadute".

Questo paracadute gli offre innanzitutto la certezza di non trovarsi solo (psicologicamente e materialmente) nella ricerca di una nuova occupazione, e poi di poterla affrontare con maggiore consapevolezza delle proprie risorse professionali.

Il dipendente disoccupato deve poi confrontare la propria offerta di professionalità con un mercato che si trasforma molto rapidamente e in particolare con una crescente frammentazione della domanda: tramite i servizi di outplacement può avere l’accesso a fonti di informazione e a reti di relazioni difficilmente raggiungibili con le sole proprie forze.

Inoltre, dopo il processo di formazione realizzato con il consulente, il candidato avrà maggiori probabilità di svolgere l’attività che meglio rispecchia le sue esigenze e attitudini professionali, e di avviare una nuova attività (dipendente o autonoma) ad elevata probabilità di successo.

B) Il datore di lavoro, stipulando un contratto di outplacement il cui costo si aggira attorno al 15% della retribuzione lorda annuale del dipendente, può facilitare in modo decisivo la risoluzione consensuale e amichevole del rapporto di lavoro, e può ridurre l’apprensione tra chi resta in azienda (che probabilmente apprezzerà la disponibilità ad offrire un sostegno concreto a chi è costretto a uscire).

 Affinchè questi benefici siano effettivi peraltro è necessario:

  • che il dipendente sia effettivamente interessato a proseguire la propria carriera, e non piuttosto a riscuotere un elevato indennizzo economico per il licenziamento e poi magari ad uscire dal mercato del lavoro
  • che il dipendente non ritenga che il problema della propria occupazione sia un problema a cui "altri" (l’azienda, lo stato) devono dare risposta
  • che il datore di lavoro non creda che il servizio di outplacement sia il solo costo da sostenere per ottenere la disponibilità del dipendente ad una risoluzione rapida e consensuale
  • che entrambi non ritengano l’impresa di outplacement capace di supplire all’eventuale oggettiva mancanza di opportunità nel mercato: il servizio di outplacement non può creare una domanda, può solo fornire strumenti per individuarla e sollecitarla.

 

6. L’outplacement e il lavoro autonomo

Il termine anglosassone fin qui usato (outplacement) potrebbe venire tradotto con ricollocamento, cogliendo così molto bene l’aspetto che è già stato evidenziato, cioè il ruolo di ammortizzatore privato per casi di perdita dell’occupazione.

In realtà l’esperienza condotta da chi scrive suggerisce piuttosto l’opportunità di utilizzare la locuzione "consulenza di transizione di carriera", poichè i programmi di cui si è parlato aiutano le persone a impostare diversamente dal passato o dalla consuetudine il problema della propria occupazione.

I perni dei programmi sono infatti:

  • la realizzazione di un bilancio delle competenze (che dà al candidato la conoscenza di quello che può offrire)
  • la realizzazione di azioni di marketing (che danno al candidato la conoscenza dei bisogni del mercato e la capacità di portare la propria offerta ad un contatto efficace con la domanda).

Seguendo questi programmi il candidato non si limita a cercare un posto con azioni reattive rispetto a una domanda già esplicita, ma si cimenta in un piano di attività rivolte a promuovere l’offerta come persona in possesso specifiche competenze, proponendosi ai potenziali clienti e anche aiutandoli ad analizzare i loro bisogni.

L’ affermazione contenuta nelle ultime parole non sembri eccessiva: questo modo di proporsi si rivela infatti particolarmente efficace verso imprese medie e piccole, nelle quali:

  • i ruoli vengono raramente definiti a priori, cioè a prescindere dalle persone effettivamente presenti
  • i processi di reclutamento (anche del personale manageriale) non sono formalizzati secondo procedure dettagliate
  • le occasioni di sviluppo nascono spesso da incontri fortunati.

E’ quindi facile che il candidato, seguendo il programma di outplacement, maturi ed assuma l’atteggiamento del lavoratore autonomo, impegnato a vendere un prodotto e concentrato sui bisogni dei clienti.

Non stupisce pertanto che, a conclusione del programma, per i candidati perda relativamente d’importanza la forma giuridica della nuova occupazione: nell’esperienza italiana, almeno un quarto di loro intraprende attività genericamente definibili di lavoro autonomo.

Si potrebbe quindi concludere che il servizio di outplacement, forse meglio definibile "consulenza di transizione di carriera", è una modalità di avvicinamento di lavoratori dipendenti al lavoro autonomo, sia perchè i candidati mettono in atto azioni di promozione personale ("imprenditorializzazione" dell’offerta) sia perchè molti di loro alla fine abbandonano il lavoro dipendente.

Riprendendo inoltre il riferimento alle piccole e medie imprese, si può anche osservare che la "consulenza di transizione di carriera" apre canali di trasferimento delle competenze gestionali e specialistiche dalle imprese maggiori a quelle minori.

Essa infatti, quando opera a favore di candidati provenienti da grandi imprese, fornisce a queste persone, abituate ad operare in ambiti dove la domanda di competenze è relativamente ben definita ed espressa, gli strumenti necessari per esplorare gli ambiti delle minori imprese, dove questa domanda deve essere scovata, sollecitata, interpretata.

Infine, si può osservare che molti dei metodi sperimentati ed applicati nei servizi di "consulenza di transizione di carriera" potrebbero venire utilmente impiegati in servizi rivolti a "imprenditorializzare" l’offerta di chi ha concluso un percorso di studi ad elevata specializzazione e vuole proporsi sul mercato per ruoli che richiedono anche competenze di relazione, cooperazione, collaborazione, nonchè la capacità di anticipare i bisogni dei clienti inventando nuovi lavori e professioni.

                                                                                                                           

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE SULL’OUTPLACEMENT

 

  • W.J. Morin - L. Yorks DISMISSAL                                                            Harvest/HBJ 1992
  • W.J. Morin - J.C. Cabrera       PARTING COMPANY                Harvest/HBJ 1991
  • J.A. Cabrera    - C.F. Albrecht, jr         THE LIFETIME CAREER MANAGER                                                                                                                                                          Adams Publishing 1995
  • G. Quadrio      OUTPLACEMENT                                                              F. Angeli 1993
  • R.N. Bolles      CE L’HAI IL PARACADUTE ?                                           Sperling & Kupfer 1992
  • A. Ansaloni - F. Bargaglio - J.L. Buridans TORNARE IN GIOCO                                                                                                                                                                       Sperling & Kupfer 1994
  • F. Miciano       EMERGENZA... ANCHE TU CERCHI LAVORO?                                                                                                                                                                              Gruppo Editoriale Stammer 1994
  • G. Clerici - C. Rorato L’OUTPLACEMENT     

                                                                                                               supplemento a INVESTIRE 10/93

  • A. Fiordelli - G. Nugnes TROVARE LAVORO NON E’ SOLO QUESTIONE DI FORTUNA                                                                                                                              F. Angeli 1995
  • F. Rossi OUTPLACEMENT                                                                            F. Angeli 1996
  • F. Civelli, D. Manara LAVORARE CON LE COMPETENZE             Guerini e Associati 1997

 

 

*************

 

 

B.

articolo pubblicato da "Il Consulente del Lavoro"

mensile dell'Ordine e dell'Ente di Previdenza dei Consulenti del Lavoro

nel n° 6/2001

 

dott. Andrea Ferramola          Consulente del Lavoro

L'ATTIVITA' DI CAREER COUNSELING

1. Premessa

Sono ormai numerosi anche in Italia coloro che svolgono professionalmente attività di career counseling.

Questa espressione in lingua inglese viene tradotta a volte con "consulenza di carriera", a volte con "consulenza di orientamento professionale", altre volte con "consulenza di sviluppo professionale"; le parole sono diverse in relazione ai diversi contesti in cui si svolge l'attività.

Il diffondersi di questa attività, comunque la si chiami, è un aspetto del processo di trasformazione economica, sociale e normativa che ha reso il "mercato del lavoro" molto più libero del passato.

Infatti oggi è finalmente possibile realizzare un più autentico confronto (e quindi incontro) tra la domanda e l'offerta di competenze e prestazioni professionali; questo confronto-incontro, che è comprensibilmente utile agli obiettivi dei datori di lavoro (domanda), può diventare sempre più efficace e vantaggioso anche per i lavoratori (offerta) a condizione che anche questi ultimi sappiano darsi obiettivi professionali chiari e poi perseguirli, anche con un pizzico di imprenditorialità.

Avere obiettivi chiari può non essere facile per tutti, perché il mercato del lavoro è molto frammentato e non sempre interpretabile con facilità; d'altronde le aspettative dei lavoratori sono sempre più elevate, a volte non esplicite e non coerenti tra loro.

Si propone così l'utilità di una attività professionale (career counseling, appunto) nella quale un consulente mette a disposizioni metodi ed esperienze per aiutare le persone, che affrontano il mercato del lavoro, ad effettuare valutazioni realistiche, a definire un concreto progetto di ricerca, a realizzare scelte consapevoli.

2. In che cosa consiste il career counseling

Diciamo subito che questa consulenza non è un servizio di collocamento (anche se può avere collegamenti con questo), ma una relazione professionale di aiuto.

Questa relazione si instaura tra un professionista e un cliente che vuole affrontare e risolvere nel modo migliore un problema, cioè quello di cercare la prima occupazione oppure una nuova opportunità di lavoro.

Più in dettaglio, il percorso lungo il quale il consulente può aiutare il cliente comprende innanzitutto queste fasi:

  • inquadramento dell'attuale condizione professionale, analisi e verifica delle aspettative personali connesse al lavoro
  • preparazione del bilancio professionale, attraverso la ricostruzione dettagliata delle esperienze compiute e delle competenze acquisite
  • analisi dei punti di forza e di debolezza, attraverso il riesame dei successi e degli insuccessi affrontati
  • valutazione dei bisogni di formazione e di aggiornamento
  • definizione di un obiettivo di lavoro realistico, che tenga conto sia delle mete, dei vincoli e delle risorse personali, sia delle trasformazioni e delle opportunità del mercato
  • preparazione ed attuazione di una strategia di ricerca efficace, basata sia sulla risposta alle richieste, sia sull’autopromozione verso i segmenti del mercato ritenuti più promettenti.

Infatti il cliente viene indirizzato ad esplorare tutti i possibili contatti e i percorsi che lo portano a conoscere anche le situazioni poco note, che possono nascondere l’opportunità di una occupazione coerente con le proprie competenze.

A questo fine lavora con il consulente per migliorare le capacità di comunicazione, sia scritta sia verbale, per allargare la propria rete di relazioni, per ricercare informazioni utili, per organizzare le proprie azioni di ricerca.

Il cliente viene così aiutato sia a cercare un posto realizzando efficaci azioni reattive rispetto alle richieste già esplicite del mercato, sia a cimentarsi in un piano di attività rivolte a promuovere verso i potenziali "acquirenti" l'offerta delle proprie specifiche competenze, idonee a soddisfare specifici bisogni di professionalità.

(Quest'ultimo modo di proporsi si rivela infatti particolarmente efficace verso quelle imprese e organizzazioni nelle quali:

  • i contenuti dei ruoli previsti nella struttura vengono definiti anche in relazione alle persone, e alle rispettive professionalità, che sono effettivamente presenti e disponibili
  • i processi di ricerca e selezione non sono pianificati e formalizzati secondo procedure dettagliate
  • la struttura è aperta alle occasioni di sviluppo che possono nascere da incontri fortunati con potenziali nuovi collaboratori).

Proseguendo il percorso, il consulente può arrivare ad assistere il cliente in queste ulteriori fasi:

  • analisi dei progressi e delle difficoltà della sua ricerca ed eventuale riformulazione degli obiettivi
  • confronto delle offerte ricevute e delle opportunità rilevate con gli obiettivi inizialmente stabiliti o successivamente riformulati
  • decisione finale di accettare una proposta dioccupazione dipendente, o eventualmente di intraprendere una attività autonoma.

In tutte fasi il consulente non deve proporsi di prendere decisioni al posto del cliente, né può affrontare da solo tutti gli eventuali problemi specialistici: in questi casi suggerisce di ricorrere alle consulenze integrative più opportune (ad esempio consulenze psicologiche, oppure previdenziali, oppure fiscali).

In base al tipo di problema manifestato dal cliente, nonché alle caratteristiche professionali del medesimo, il consulente può anche limitare la propria attività solo ad alcune delle fasi che sono state illustrate.

Se invece vengono realizzate tutte le fasi, la consulenza guida e assiste il cliente nel realizzare progressivamente un vero e proprio piano di "marketing personale", così definibile perchè ha sicuramente alcune analogie con i piani aziendali di marketing, che definiscono le caratteristiche dei prodotti e le strategie di vendita.

3. Quando e dove si ricorre al career counseling

Chi può avere concretamente bisogno di questa consulenza?

Tutte le persone che vogliono o che debbono affrontare un cambiamento della propria condizione professionale; ad esempio:

  • i giovani e gli adulti che hanno concluso cicli di istruzione
  • i lavoratori dipendenti che aspirano a cambiare occupazione o a intraprendere un lavoro autonomo
  • le persone che vogliono ritornare nel mercato del lavoro a conclusione di periodi di impegno familiare
  • i lavoratori dipendenti che hanno ricevuto proposte di cambiamento del proprio ruolo in azienda
  • i lavoratori dipendenti che hanno perso l'occupazione (outplacement).

In ogni caso l'utilizzo del servizio non può che essere volontario e deve essere espressamente accettato dalla persona.

Considerando che i casi di utilizzo sono così diversi l'uno dall'altro, il servizio di consulenza può venire proposto in luoghi e in modi anch'essi diversi; ad esempio:

  • da parte di istituti di istruzione, università, centri di formazione professionale
  • da parte di studi professionali o società di consulenza specializzate
  • da parte dei servizi pubblici per l'impiego
  • da parte di strutture pubbliche e private di informazione, orientamento, assistenza.

Anche l'iniziativa di proporre l'utilizzo del servizio è attribuibile a diversi soggetti; ad esempio, nel caso dell'outplacement è di norma il datore di lavoro che mette a disposizione di propri dipendenti, nei confronti dei quali ha deciso di interrompere il rapporto di lavoro, un servizio di consulenza per la ricerca di una nuova occupazione.

( Anche in questo caso il servizio viene però effettivamente attivato solo a seguito di un accordo tra il datore e il dipendente).

Casi diversi sono quelli in cui il servizio è proposto da istituti scolastici, nell'ambito dei propri programmi di orientamento, oppure da centri di formazione, costituendo così una specifica offerta formativa oppure una parte dei programmi dei corsi di qualificazione e specializzazione.

In questi casi (ma non solo in questi) il consulente può assistere i clienti sia individualmente sia in piccoli gruppi.

Ancora un altro caso è quello i cui quadri e dirigenti, desiderosi di dare impulso alla propria carriera, si rivolgono a studi o società specializzate per ottenere aiuto nella valutazione della propria professionalità e quindi nella ricerca delle opportunità presenti nel mercato (job hunting).

4. Chi è il career counsellor

Vista la diversità delle situazioni, degli ambienti e dei clienti, è comprensibile che non esista il "consulente di carriera" (career counsellor) inteso come soggetto appartenente a una famiglia di condizione professionale omogenea e di formazione tipica comune.

Alcuni consulenti sono liberi professionisti, altri lavoratori dipendenti degli enti che offrono il servizio; alcuni hanno esperienze di lavoro in azienda o nella consulenza aziendale, altri hanno esperienze riconducibili alle attività socio-assistenziali.

Il Consulente del Lavoro, che abitualmente assiste i datori di lavoro, può essere un valido consulente di carriera (e quindi assistere, in questo caso, anche dipendenti o aspiranti dipendenti) proprio in forza della sua conoscenza delle imprese e delle attività professionali.

Il Consulente del Lavoro è infatti esperto del contratto giuridico che si stipula tra domanda e offerta di lavoro, ma sa anche che l'indispensabile attenzione agli aspetti formali del rapporto di lavoro non può, da sola, prevenire o dare risposta ai problemi di motivazione e di soddisfazione personale.

Questi problemi, infatti, nascono anche nelle situazioni, magari ineccepibili dal punto di vista contrattuale e formale, in cui i lavoratori hanno fatto scelte professionali confuse, affrettate, non coerenti con le proprie aspirazioni personali.

Il Consulente del Lavoro possiede molte competenze utili per effettuare l'attività di career counseling, che, come abbiamo visto, può svolgersi in forme e in sedi diverse.

In tutti i casi, comunque, si tratta di un servizio che può facilitare l'instaurarsi, tra datore di lavoro e lavoratore, di un più consapevole "contratto psicologico", che senza sostituirsi al contratto giuridico consente l'instaurarsi di un rapporto fondato su attese realistiche ed esplicite.

Questo è alla base di una possibile completa soddisfazione, che non sia solo economica, delle parti.

 

*************

 

C.

articolo pubblicato da "Il Consulente del Lavoro"

mensile dell'Ordine e dell'Ente di Previdenza dei Consulenti del Lavoro

nel n° 10/2003

 

 

LE " 4 P " PER LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

 

Da molti anni l'espressione "gestione delle risorse umane" viene usata in alternativa alla più tradizionale espressione "gestione del personale".

 

Probabilmente si vuole così dare evidenza al concetto che i dipendenti non costituiscono semplicemente un costo per il datore di lavoro, ma rappresentano invece una fonte di creazione del valore, così come le altre risorse impiegate nei processi produttivi.

 

Questo concetto ne implica un altro: cioè che anche i dipendenti, così come le altre risorse, devono venire fatti oggetto di una continua valutazione da parte di chi conduce l'azienda, allo scopo di verificarne l'adeguatezza e l'idoneità agli obiettivi produttivi.

 

Qui però iniziano le differenze: infatti i dipendenti, che sono oggetto di valutazione, a loro volta effettuano una continua valutazione del livello di soddisfazione (materiale e immateriale) che ricavano dalle attività che svolgono, al fine di decidere se proseguirle oppure se ricercarne altre più appaganti.

 

Il fatto che le valutazioni, sia quelle del datore di lavoro sia quelle dei dipendenti, non avvengano sempre in modo preordinato e non vengano sempre formalizzate e comunicate esplicitamente, nulla toglie alla loro importanza: esse infatti sono la base di giudizio per importanti decisioni.

 

Tra queste decisioni ci sono certamente le seguenti, che competono al datore di lavoro:

 

  • assunzioni
  • promozioni
  • aumenti retributivi
  • cambiamenti di ruolo
  • licenziamenti
  • programmi di formazione e di sviluppo.

 

Queste decisioni del datore di lavoro possono avere una pesante influenza sul livello di soddisfazione dei propri collaboratori; l'influenza può essere negativa se le decisioni, magari efficaci nell'immediato per gli obiettivi aziendali, sono basate su valutazioni delle risorse umane non eque e non trasparenti.

 

 

 

EQUITA', TRASPARENZA, EFFICACIA

 

E' bene essere chiari quando facciamo riferimento all'equità e alla trasparenza:

 

  • l'equità non è l'egualitarismo, ma l'applicazione uniforme di criteri di giudizio costanti ;
  • la trasparenza non è data da una discussione infinita, ma dalla possibilità di verificare la ragionevolezza dei criteri di giudizio.

 

Ovviamente, l'equità e la trasparenza non sono mai separabili dalla efficacia delle decisioni, cioè dalla loro idoneità a risolvere i problemi e a soddisfare le esigenze di sopravvivenza e di sviluppo dell'azienda, che è il bene primario che chi la conduce deve salvaguardare.

 

E' quindi utile che sia chi conduce l'azienda, sia il consulente del lavoro che lo assiste, abbiano alcuni fondamentali punti di riferimento, sia per effettuare in modo equo e trasparente le valutazioni sulle "risorse umane", sia per decidere efficacemente sulla loro acquisizione, gestione e sviluppo.

 

Ai lettori proporrò, per incominciare, quattro punti di riferimento, più volti verificati nell'esperienza professionale, che chiamo, dalla lettera iniziale di ognuno, "le 4 P ".

 

LA PRIMA P: PERSONE

 

Diversamente da tutte le altre risorse aziendali, le risorse umane sono persone, e quindi:

 

  • le loro azioni e reazioni non sono sempre prevedibili e non sono uniformi nel tempo;

 

  • i loro comportamenti, le loro opinioni, i loro stimoli nello svolgimento del lavoro non sono determinati solo da ciò che accade nel "sistema azienda", ma anche da ciò che accade in tutti gli altri "sistemi" a cui appartengono, in quanto persone: la famiglia, le associazioni di volontariato, i sindacati, i gruppi sportivi, le comunità locali, ecc.;

 

  • gli "scambi" tra loro avvengono sempre su due piani: il piano logico e razionale (scambi di informazioni "oggettive") e il piano relazionale (scambi di emozioni e di stati d'animo); il primo può essere facilmente influenzato dal secondo, del quale le persone non sempre sono consapevoli.

 

Infine, è bene ricordare che anche chi valuta le risorse umane (il datore di lavoro, il suo consulente) è, a sua volta, una persona, alla quale sono applicabili le precedenti considerazioni.

 

LA SECONDA P: POSIZIONE

 

 

Le valutazioni sulle risorse umane, come già detto, hanno lo scopo di verificarne l'adeguatezza e l'idoneità agli obiettivi produttivi e non quello di giudicarle in assoluto; pertanto sono necessarie due importanti azioni preliminari da parte del datore di lavoro.

 

Le azioni preliminari sono le seguenti:

 

  1. definire con chiarezza le responsabilità e i compiti che vengono assegnati a coloro (chiunque essi siano) che ricoprono i ruoli previsti nella struttura aziendale;
  2. stabilire l'importanza che viene riconosciuta a ciascuno di questi ruoli, in base alla quantità e alle caratteristiche delle responsabilità e dei compiti .

 

Le due azioni descritte sono rispettivamente la " analisi e descrizione delle posizioni" e la "valutazione delle posizioni"; sono state definite azioni preliminari perchè devono venire effettuate prima delle altre valutazioni e a prescindere dalle caratteristiche delle persone che ricoprono di volta in volta le posizioni.

 

La valutazione delle posizioni può limitarsi a comparare tra loro l'importanza di ciascuna delle posizioni presenti in azienda oppure può spingersi, se necessario, a confrontarla con quella delle posizioni simili presenti in altre aziende; a questi scopi sono utilizzabili metodi di valutazione che possono essere anche complessi e che non è possibile descrivere in questo articolo.

 

Invece è indispensabile sottolineare che, in mancanza di una adeguata descrizione e valutazione delle posizioni, sarà molto difficile gestire con equità, trasparenza e soprattutto efficacia le seguenti attività :

 

  • le selezioni del personale da assumere (che deve essere idoneo agli specifici compiti e responsabilità previsti nella posizione)
  • l'assegnazione dei livelli di inquadramento e di retribuzione (che devono essere coerenti con le responsabilità e i compiti)
  • l'addestramento iniziale dei neo assunti (che deve accompagnarli a diventare autonomi nell'assolvimento delle responsabilità).

 

LA TERZA P : PRESTAZIONE

 

Non tutte le persone sono egualmente efficaci nello svolgere i compiti e nell'assolvere le responsabilità previste per la posizione che ricoprono: in altre parole, è normale che diverse persone, che ricoprono posizioni identiche o molto simili, abbiano però prestazioni lavorative (o "rendimenti") diverse.

 

Ovviamente questa diversità è accettabile per l'azienda solo a condizione che vengano rispettati i livelli minimi prestabiliti di quantità e di qualità della prestazione.

 

La "valutazione delle prestazioni" costituisce il consuntivo del rendimento lavorativo, in un certo periodo, delle persone che ricoprono le posizioni previste dalla struttura aziendale; questa valutazione costituisce la base per assumere decisioni:

 

  • sullo svolgimento di attività formative per l'aggiornamento o lo sviluppo delle competenze
  • sulle eventuali azioni di sostegno o di sviluppo professionale (es. "coaching")
  • sulla corresponsione di aumenti retribuitivi di merito ("superminimi") e di premi ("retribuzione variabile") ai dipendenti migliori
  • sul riconoscimento di passaggi di categoria o livello a chi manifesta una superiore professionalità.

 

I metodi applicabili e le cautele richieste per effettuare la valutazione delle prestazioni costituiscono un ulteriore argomento di approfondimento, che non è possibile trattare qui.

 

LA QUARTA P : POTENZIALE

 

Il futuro di ogni azienda dipende dalla capacità di ricavare tutto il possibile e tutto il meglio dalle risorse disponibili, quindi anche dalle risorse umane.

 

Le persone, con il passare del tempo, possono arrivare a offrire prestazioni lavorative non solo accresciute in quantità e in qualità, ma anche diverse nei contenuti.

 

Non tutti hanno le medesime attitudini e le medesime motivazioni verso il lavoro; inoltre non per tutti lo sviluppo di carriera può o deve significare una crescita di livelli gerarchici (quante volte viene citato l'esempio del bravo operaio specializzato che, promosso capo reparto, inizia a dare prestazioni insoddisfacenti !)

 

Tutti (o quasi tutti) hanno bisogno di un ambiente di lavoro stimolante e del sostegno di altre persone esperte per arrivare a scoprire e ad esprimere completamente il proprio potenziale, facendo leva sui propri punti di forza e impegnandosi sulle proprie "aree di miglioramento".

 

Una sistematica attività di " valutazione del potenziale " delle persone che lavorano in azienda è indispensabile per il datore di lavoro che si prefigge:

 

  • di non perdere i "talenti" migliori che vogliono crescere rapidamente
  • di pianificare le future successioni ai ruoli chiave, valutando l'alternativa tra promozioni dall'interno ed assunzioni dall'esterno
  • di delegare in modo efficace
  • di realizzare programmi di formazione "su misura".

Anche la "valutazione del potenziale" consente, e spesso richiede, l'utilizzo di metodi specialistici, che però sono diversi da quelli utilizzabili per la "valutazione delle prestazioni"; infatti essi devono essere idonei ad effettuare le previsioni sui comportamenti professionali futuri, e non i consuntivi sulle prestazioni passate.

 

CONCLUSIONI

 

Per il datore di lavoro, e per il consulente che lo assiste, si presenta un percorso lungo per far sì che le valutazioni delle risorse umane in azienda avvengano sempre nel rispetto dei principi di equità, trasparenza ed efficacia.

 

Il primo, ed irrinunciabile, passo consiste nell'avere ben chiare le differenze di contenuto e di scopo tra le valutazioni delle posizioni, le valutazioni delle prestazioni e le valutazioni del potenziale.

 

Queste differenze devono poi essere fatte comprendere alle persone che sono coinvolte nelle valutazioni, e per ottenere la comprensione sono necessari tempo ed attenzione.

 

Il risultato finale sarà un clima aziendale migliore e una crescita della motivazione.

 

 

D.

articolo pubblicato da "Il Consulente del Lavoro"

mensile dell'Ordine e dell'Ente di Previdenza dei Consulenti del Lavoro

nel n° 2/2004

 

 

LE RETRIBUZIONI AZIENDALI:

EQUITA' E COMPETITIVITA'

 

Imprenditori e consulenti hanno appreso dall'esperienza che la retribuzione non è l'unico fattore che determina la soddisfazione dei dipendenti e la loro efficace integrazione nel sistema aziendale.

 

Ciononostante, la retribuzione resta un fattore fondamentale, che può essere fonte di malcontento e di controversie se non viene gestito attentamente.

 

Ovviamente le situazioni cambiano da azienda ad azienda.

 

Infatti per alcune aziende, che impiegano professionalità semplici o che operano in un mercato del lavoro poco dinamico, può essere sufficiente dare applicazione agli inquadramenti e ai livelli retributivi minimi previsti dai contratti collettivi.

 

Al contrario, per molte piccolissime aziende, che impiegano professionalità più complesse e ricercate o caratterizzate da un rapporto fiduciario, è necessario (ma anche sufficiente) che il trattamento retributivo dei pochi dipendenti (o magari dell'unico!) sia concordato su base individuale, superando senza problemi, quando necessario, i minimi contrattuali.

 

La situazione diventa invece più complessa nelle aziende di maggiori dimensioni, perchè in questi casi le retribuzioni devono essere adeguate a professionalità diverse e non sempre previste dai contratti collettivi, ma contemporaneamente devono essere "giuste" sia per l'azienda sia per i lavoratori.

 

Quando le retribuzioni sono "giuste"?

 

Generalmente quando sono idonee:

  • ad assicurare un compenso ragionevolmente sufficiente ad ogni lavoratore
  • a ricompensare adeguatamente i lavoratori migliori e quelli con maggiori responsabilità
  • a stimolare in tutti la ricerca di prestazioni più elevate
  • a non creare malcontento e personalismi nei confronti tra colleghi di lavoro
  • a non vincolare più del necessario i costi del lavoro in caso di contingenze negative per l'azienda
  • a non esporre l'azienda senza difese alle minacce della concorrenza.

 

EQUITA' E COMPETITIVITA'

 

In sintesi, possiamo dire che il fattore retribuzione è gestito attentamente quando è caratterizzato da equità e competitività.

Che cosa significano "equità" e "competitività"?

 

  • L'equità delle retribuzioni non è sinonimo di uguaglianza o di appiattimento; l'equità è data invece dalla coerenza interna, ossia dall'esistenza di differenze retributive fondate su motivazioni dimostrabili e comprensibili.

 

Più esplicitamente, l'equità richiede che le differenze retributive siano proporzionate alle differenze di prestazioni da parte dei lavoratori.

 

Parlando di "differenze di prestazioni" dobbiamo intendere:

- sia le differenze tra la quantità e la qualità dei compiti e delle responsabilità (che costituiscono la prestazione richiesta) che sono assegnate alle diverse posizioni organizzative (o "ruoli") aziendali

- sia le differenze del rendimento individuale (che costituisce la prestazione effettiva) che è realmente prodotto dalle diverse persone che ricoprono posizioni simili o comunque paragonabili.

 

  • La competitività delle retribuzioni aziendali è data dallo loro capacità di reggere complessivamente il confronto con quelle retribuzioni che sarebbero realisticamente conseguibili dai dipendenti, a parità di ruoli, in altri sistemi aziendali che siano direttamente paragonabili, cioè che siano collocati nel segmento di mercato del lavoro (territoriale e settoriale) che costituisce riferimento per l'azienda.

 

E' importante ricordare che sbaglierebbero gli imprenditori e i consulenti che si preoccupassero di accertare solo in base a calcoli matematici l'esistenza dell'equità e della competitività.

 

Infatti sono le persone che lavorano in azienda che, sulla base delle proprie concrete esperienze durante tutta la durata del rapporto di lavoro, devono percepire l'equità e la competitività come criteri realmente applicati.

 

Quindi l'equità e la competitività sono anche un obiettivo della politica del personale, da raggiungere e da mantenere.

 

Per raggiungere questo obiettivo a imprenditori e consulenti spettano i seguenti compiti :

 

  1. conoscere approfonditamente la situazione di fatto esistente in azienda
  2. definire politiche retributive coerenti con la strategia aziendale
  3. applicare strumenti di tecnica retributiva idonei a tradurre le politiche in fatti concreti
  4. far comprendere ai dipendenti le politiche e gli strumenti.

Iniziamo ad approfondire il contenuto di questi punti.

CONOSCERE LA SITUAZIONE DI FATTO

 

La conoscenza della situazione di fatto parte dall'esame del livello attuale di coerenza interna., preliminarmente in modo sintetico e poi necessariamente in modo analitico.

 

L'esame sintetico della coerenza interna viene effettuato mettendo a confronto i valori retributivi con la struttura organizzativa: si tratta, in pratica, di abbinare le posizioni dell'organigramma aziendale con le retribuzioni di fatto dei rispettivi titolari.

 

Questo esame sintetico va considerato solo preliminare perchè:

 

  • l'organigramma mette in evidenza solo i livelli gerarchici e la collocazione funzionale delle posizioni, e non anche i contenuti professionali (cioè la quantità e qualità dei compiti e delle responsabilità assegnate e quindi della prestazione richiesta)
  • le retribuzioni di fatto dei titolari delle posizioni, e le relative differenze, spesso sono le risultanti sia di storie professionali individuali sia di rendimenti (cioè i risultati individuali che costituiscono la prestazione effettiva) che possono essere anche molto diversi.

 

L'esame preliminare consente insomma di individuare con certezza solo le situazioni più evidentemente in contrasto con il principio di equità; le altre situazioni richiedono di essere esaminate più analiticamente.

 

L'esame analitico viene effettuato svolgendo due attività: la analisi e descrizione delle posizioni e la valutazione delle posizioni, la prima delle quali è propedeutica alla seconda.

 

Definiamo queste due attività :

 

  1. la analisi e descrizione delle posizioni consiste nella la redazione di documenti descrittivi:
  • dei compiti e delle responsabilità che vengono assegnate ai rispettivi titolari
  • del contesto organizzativo in cui esse devono venire assolte
  • dei requisiti professionali necessari per ricoprirle;

 

  1. la valutazione delle posizioni consiste nella "pesatura" delle medesime, utilizzando tabelle numeriche, i cui valori esprimono per ciascuna posizione un giudizio sulla sua importanza per l'azienda, in base alle informazioni contenute nelle descrizioni delle posizioni.

 

La valutazione delle posizioni non è un esercitazione astratta, ma costituisce la premessa:

  • per definire le politiche retributive aziendali (v. sopra A)
  • per adottare strumenti di tecnica retributiva coerenti con le politiche (v. sopra B).

 

Infatti, una volta effettuata la valutazione delle posizioni, diventa possibile:

 

  • stabilire una scala retributiva ideale delle posizioni aziendali, sulla base del loro peso effettivo e dimostrabile, e non solo secondo "sensazioni" personali
  • raggruppare le posizioni di peso omogeneo, inserendole in fasce retributive omogenee.

 

Ho parlato di "fasce" perchè per ogni gruppo di posizioni di peso omogeneo è necessario prevedere un livello retributivo minimo e uno massimo, all'interno dei quali devono rientrare tutte le rispettive retribuzioni individuali di fatto.

 

Quindi all'interno delle fasce sono possibili differenze retributive, che però devono essere determinate dalle differenze di rendimento (= prestazione effettiva) dei titolari delle posizioni.

 

PESARE LE POSIZIONI

 

Ovviamente, affinchè le fasce abbiano un senso, è necessario effettuare la pesatura con un metodo idoneo.

 

Normalmente è efficace il metodo fondato su fattori di valutazione, che prende a riferimento caratteristiche descrivibili in modo uniforme a prescindere dai contenuti specialistici; queste caratteristiche sono ricorrenti in tutte le posizioni lavorative, anche se in misura diversa per ognuna.

 

In questo modo è possibile assegnare a ciascuna posizione, secondo una scala graduata che misura l'intensità di ciascun fattore, una serie di punteggi che, sommati infine tra loro, determinano il peso complessivo.

 

I fattori generalmente utilizzati sono i seguenti:

 

  • il SAPERE (cioè le conoscenze teoriche richieste per ricoprire la posizione),
  • il SAPER FARE (cioè la capacità pratica necessaria per produrre i risultati richiesti),
  • le CONDIZIONI DI LAVORO (cioè le caratteristiche relative all'ambiente e alla sicurezza),
  • le DIMENSIONI (cioè le caratteristiche riferibili al risultato economico e agli aspetti legali).

Se è necessario rendere la valutazione molto precisa, i fattori possono venire scorporati in diverse componenti: in questo modo la valutazione (pesatura) di ciascuna posizione viene ripetuta utilizzando diversi e particolari punti di vista.

VERIFICARE LA COERENZA

 

Una volta effettuata la valutazione delle posizioni, è possibile procedere nell'esame di coerenza interna, cioè è possibile verificare il grado di corrispondenza tra le differenze di punteggio delle posizioni e le differenze di retribuzione individuale di fatto dei titolari delle medesime.

 

Se la corrispondenza è inesistente o scarsa bisogna analizzare le cause, che possono essere molto diverse.

 

Facciamo alcuni esempi dei casi che si possono verificare:

 

  • posizione con retribuzione del titolare molto più elevata di quelle delle altre posizioni di peso simile: la causa potrebbe essere la lunga permanenza del titolare nella medesima posizione
  • posizione con retribuzioni del titolare molto più bassa di quelle delle altre posizioni di peso simile: la causa potrebbe essere nel fatto che il titolare è una persona neo assunta che non assolve ancora tutte le responsabilità previste per la posizione
  • posizione con retribuzione del titolare più elevata di quella di altre posizioni di peso addirittura superiore: la causa può essere data da superminimi o passaggi di categoria (anzichè premi variabili) corrisposti al titolare in anni passati in ragione di elevati rendimenti
  • posizione con retribuzione del titolare molto più elevata di quelle di altre posizioni di peso simile: la causa può essere data da superminimi corrisposti al titolare solo per assicurarne la fedeltà all'azienda.

 

LA POLITICA RETRIBUTIVA

 

La conoscenza dettagliata di tutte i casi di non corrispondenza tra le differenze di punteggio e le differenze della retribuzione individuale di fatto consente all'imprenditore e al consulente di individuare le cause che minacciano realmente l' equità interna, e quindi di adottare la politica retributiva aziendale ritenuta più idonea a correggere progressivamente la situazione.

 

La politica retributiva aziendale sarà ovviamente condizionata dalla strategia generale dell'azienda, quindi dovrà essere funzionale al tipo di impiego e di valorizzazione delle risorse umane che l'imprenditore si prefigge di ottenere e che il mercato rende possibile.

 

Non dimentichiamo infatti, oltre al principio di equità, il principio di competitività.

Conviene però osservare che le analisi di coerenza interna effettuate sulle retribuzioni sono utili anche allo scopo di perseguire la competitività.

 

Sappiamo infatti che è normale effettuare il confronto delle retribuzioni correnti in azienda con quelle presenti nel mercato di riferimento, ad esempio facendo ricorso alle indagini retributive di società specializzate o limitandosi alle informazioni diffuse da associazioni, giornali e riviste.

 

Questo confronto, però, è attendibile solo se è basato sulle informazioni che vengono rese disponibili dalle attività di analisi e descrizione e di valutazione delle posizioni, che abbiamo descritto in precedenza.

 

In caso contrario, si rischia di mettere a confronto le retribuzioni correnti in azienda con le retribuzioni correnti sul mercato per ruoli che hanno magari la medesima denominazione ma che non sono corrispondenti nei contenuti.

 

CONCLUSIONI

 

Sarà la politica retributiva aziendale che determinerà la scelta e l'utilizzo degli strumenti di tecnica retributiva (nonchè degli strumenti per comunicarli al personale) .

 

Quindi, per fare alcuni esempi, l'equità e la competitività potranno venire perseguite attraverso interventi sia sulle retribuzioni fisse (superminimi, passaggi di categoria) sia su quelle variabili (premi individuali, premi collettivi), oppure privilegiando gli uni anzichè gli altri.

 

In altri casi, invece, potranno essere più efficaci gli interventi relativi ai benefici aggiuntivi, alle indennità particolari, alle forme di ricompensa non monetarie.

 

 

E.

articolo pubblicato da "Il Consulente del Lavoro"

mensile dell'Ordine e dell'Ente di Previdenza dei Consulenti del Lavoro

nel n° 5/2004

 

 LA VALUTAZIONE E LA VALORIZZAZIONE

DEL CAPITALE UMANO

 

 

 

CHE COS'E' IL CAPITALE UMANO

 

C'è una parte del capitale aziendale che alla fine della giornata lavorativa esce dalla fabbrica o dallo studio professionale o dal cantiere, per farvi ritorno il giorno dopo: si tratta del capitale umano, ossia delle persone che lavorano in azienda, con tutto il rispettivo patrimonio di conoscenze e di capacità

 

Mobilità, evoluzione, variabilità sono alcune delle caratteristiche che rendono il capitale umano non facile da valutare: ma quando manca una corretta valutazione, come è possibile mantenere e sviluppare questa (come qualunque altra) risorsa?

 

Eppure l'imprenditore e il consulente non possono rinunciare a questo compito solo perchè è complesso: devono piuttosto chiedersi quali sono gli strumenti per affrontarlo e riuscire così a rispondere a queste due domande:

  • il personale e l'organizzazione sono adeguati rispetto agli obiettivi aziendali?
  • come incrementare sia la redditività aziendale sia la soddisfazione del clientela aumentando sia la produttività sia la motivazione del personale?

 

Il problema, si è detto, è complesso, e non può venire risolto in modo soddisfacente adottando soluzioni che apparentemente si presentano semplici, ma poi si rivelano incomplete.

 

Una soddisfacente valutazione del capitale umano richiede infatti che vengano presi in esame numerosi aspetti, e in queste note esporrò sinteticamente quelli principali.

 

GLI ASPETTI DA VALUTARE

 

1) ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO:

la valutazione del capitale umano inizia con l'analisi degli organici previsti nei reparti e negli uffici, la descrizione dei contenuti professionali dei ruoli, l'analisi della dislocazione delle persone, l'analisi delle procedure operative seguite nell'esecuzione dei processi produttivi.

 

2) REQUISITI PROFESSIONALI:

è necessario mettere in chiara evidenza le responsabilità assegnate ai ruoli esistenti in azienda, cioè la natura dei problemi che sono chiamati a risolvere: in questo modo è possibile definire quali specifiche competenze sono richieste a coloro che devono ricoprire questi ruoli.

 

3) CONSISTENZA ED ANDAMENTO DEGLI ORGANICI:

devono venire analizzati la distribuzione del personale (per tipo di rapporto, per qualifiche, età, anzianità aziendale, titoli di studio, ecc.), il turn-over, l'entità e le cause degli straordinari, l'entità e le cause delle assenze.

 

4) TRATTAMENTI RETRIBUTIVI:

questo delicato aspetto deve venire analizzato esaminando la corrispondenza tra l'importanza assegnata ai ruoli e le rispettive retribuzioni, il costo complessivo del personale, il costo per reparto e per ufficio, e infine la competitività dei costi e delle retribuzioni sul mercato di riferimento (territoriale e settoriale).

 

5) CLIMA INTERNO:

il clima interno è dato dalla percezione che le persone hanno della situazione organizzativa e delle condizioni del proprio lavoro ("benessere lavorativo"), e per essere indagato con efficacia richiede che si faccia ricorso a questionari e ad interviste individuali e di gruppo.

 

6) PRESTAZIONI E POTENZIALE:

la valutazione delle prestazioni individuali consiste nell'analisi periodica del rendimento di ogni persona nel ruolo che le è stato assegnato; la valutazione del potenziale è invece una previsione del rendimento che in futuro ogni persona potrà offrire, a prescindere dal ruolo e in base alle proprie attitudini e capacità.

 

7) RECLUTAMENTO, SELEZIONE, ACCOGLIMENTO:

vengono analizzati gli strumenti utilizzati nella ricerca dei candidati all'assunzione, i metodi applicati per scegliere tra i candidati, le procedure di inserimento e ambientamento dei neo assunti in azienda.

 

8) RICOMPENSA E PERCORSI DI CARRIERA:

si tratta di un altro delicato aspetto, collegato a quello citato al punto 4); esso deve venire valutato analizzando i sistemi utilizzati per incentivare e per premiare le migliori prestazioni, nonchè le opportunità di progressione nel ruolo che vengono offerte alle persone.

 

8) FORMAZIONE:

la valutazione del capitale umano richiede che vengono analizzati i bisogni di aggiornamento e qualificazione professionale delle persone, in rapporto agli obiettivi aziendali e agli standard di qualità che si vogliono raggiungere; la conoscenza dei bisogni consente di pianificare i corsi per gruppi e i programmi di apprendimento individuale.

 

9) QUALITA' E COMUNICAZIONI INTERNE:

vengono esaminate le procedure utilizzate per diffondere con regolarità e completezza le informazioni necessarie al buon funzionamento aziendale, nonchè le procedure per raccogliere e verificare i suggerimenti e i reclami del personale.

 

 

CONCLUSIONI

 

Come si è potuto vedere, un programma di valutazione e valorizzazione del capitale umano, che sia caratterizzato da organicità e completezza, richiede di investire tempo ed energie.

 

Questo investimento può venire affrontato più serenamente se ricordiamo che:

 

  • i suoi risultati costituiscono la base per effettuare scelte non casuali nell'impostazione di una politica del personale che voglia essere efficace;
  • gli aspetti da analizzare, richiamati sopra, non devono venire affrontati tutti contemporaneamente e sempre con eguale livello di approfondimento.